Ancora dalla School of Life:
“Potremmo pensare che il massimo piacere nelle relazioni sia essere lodati e approvati, e che nel nostro desiderio d’amore cerchiamo un’anima visibilmente innamorata che possa tributare omaggi lodevoli a noi stessi e alle nostre molteplici qualità.
Ma questo sarebbe sopravvalutare quanto siano gradevoli i panegirici. Per quanto emozionante possa essere un complimento occasionale, c’è qualcosa di molto più attraente, rassicurante e raro nell’essere in compagnia di qualcuno che conosce bene i nostri difetti – eppure è in grado di trattarli con pazienza, umorismo caritatevole e compassione. Non vogliamo qualcuno che ci esalti, bensì abbiamo bisogno di qualcuno che affronti un compito molto più difficile: vederci per come siamo e continuare a fidarsi di noi.
Ricevere panegirici, sentirsi sorprendenti e adorabili, spesso ci porta solo a percepire distacco e allarme; avvertiamo implicitamente che prima o poi la nostra realtà più complicata sarà scoperta e deplorata. Oppure compriamo il nostro posto su un piedistallo a costo di una solitudine inquietante. Non vogliamo essere riveriti, ma piuttosto compresi nella nostra realtà, accettati pur essendo in larga misura difficili, umorali, intemperanti, ingiusti, addolorati, gelosi, ansiosi e assurdi.
Che qualcuno sia in grado di percepire tutto questo su di noi senza scappare, senza vilipenderci, senza vedere i nostri difetti nel modo peggiore possibile, senza arrabbiarsi o condannarci, questo è il vero premio dell’amore, questo è ciò che ci fa sentire davvero sicuri ed è quindi davvero romantico.
La cosa più tenera che possiamo sentirci dire da chi ci ama è che siamo strani ma interessanti, caotici ma vibranti, sciocchi ma affascinanti. Vogliamo che siano prese in considerazione le ragioni più profonde dietro i nostri difetti. Possiamo gioire di qualcuno che ricorda che non è nostra intenzione essere spaventosi, siamo solo afflitti; vorremmo sinceramente essere migliori, ma spesso siamo sopraffatti e spaventati. Vogliamo che qualcuno ricordi che le nostre difficoltà hanno origini delicate. Siamo come siamo perché abbiamo dovuto affrontare sfide particolari ai nostri esordi. Abbiamo dovuto lottare contro ostacoli rari; quegli anni giovanili sono stati tremendamente insoliti. Un partner amorevole tiene a mente – mentre ancora una volta ci facciamo prendere dal panico o teniamo il broncio – che c’è una storia dietro il nostro estenuante comportamento e che abbiamo più possibilità di evolvere in qualcuno di più maturo e sano di mente se si astengono dal definirci (come avrebbero effettivamente il diritto di fare) un bambinone o un fastidioso idiota.
Una delle situazioni più entusiasmanti nell’amore è essere chiamati con gentilezza; quando un partner trasforma la propria irritazione in un soprannome umoristico (“dolce piccolo mostro”, “adorabile palla di ansia”, “quattro volte vincitore del premio Charles Manson per la psicopatia”), dirigendo il nostro sguardo verso un nostro comportamento particolarmente imbarazzante senza rabbia. Conosce la nostra voglia di piacere alle persone importanti, ha notato la nostra pretesa intellettuale, capisce quanto siamo vanitosi – eppure, straordinariamente, è ancora qui, non ci ha abbandonato ai nostri vizi.
Chiunque può – per un po’ – glorificare la nostra esistenza. Il vero premio sta nell’incontrare quella persona molto più unica e apprezzabile, quella che conosce bene i molti modi in cui siamo tremendi ma, nonostante i problemi, cerca anche di ricordare che stiamo facendo del nostro meglio, che raramente lo facciamo apposta e che, tutto sommato, probabilmente vale la pena restare con noi.”
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More from The School of Life
“We might assume that the highest pleasure in relationships would be to be praised and approved of; and that what we’d all be searching in love was a visibly smitten soul who could deliver laudatory homages to ourselves and our many qualities.
But that would be to overestimate how nice eulogies ever feel. Whatever the occasional thrill of a compliment, there is something a great deal more attractive, reassuring and rare about being around someone who knows our faults full well – and yet is able to treat them with patience, charitable humour and compassion. We don’t want someone to extol us, we need someone to do something far more difficult: see us as we are and still keep faith.
To be on the receiving end of panegyrics, to hear that we’re astounding and adorable most often simply results in feelings of dissociation and alarm; we sense, implicitly, that it can only be a matter of time until our more complicated reality is discovered and deplored. Or else we buy our place on a pedestal at the cost of an eerie loneliness. We don’t want to be revered, rather understood for our reality, that is, accepted as being to a substantial extent difficult, moody, intemperate, unfair, pained, jealous, anxious and absurd.
That someone should be able to perceive all this about us and not run away, not vilify us, not view our flaws in the worst light, not get furious or condemnatory, this is the true prize of love, this is what feels genuinely safe and therefore sincerely Romantic.
The most tender thing we might hear from a lover is that we are weird yet interesting, a mess yet vibrant, silly yet charming. We want the deeper reasons behind our flaws to be taken into account. We might delight in someone who can remember that we haven’t set out to be nightmarish, we’re just in pain; we’d dearly love to be better, we’re just often overwhelmed and scared. We want someone to recall that our difficulties have tender origins. We are like this because our start really did set us particular challenges. We had to struggle against some rare obstacles; those early years were extremely unusual. The loving partner can keep in mind – as we fall into another sulk or panic – that there is a history to our exhausting behaviour and that our best chances of evolving into someone more mature and sane would be if they could refrain from definitively labelling us (as they would in fact have every right to) a big baby or a maddening jerk.
One of the most thrilling eventualities in love is to be called out with kindness; when a partner rolls their irritation into a humorous nickname (‘sweet little monster’, ‘loveable ball of anxiety’, ‘four time winner of the Charles Manson award for psychopathy’), directing our gaze to an especially awkward habit of ours without fury. They know our eagerness to be liked by important people, they’ve noticed our intellectual pretension, they understand how vain we are – and yet, remarkably, they are still here, they have not abandoned us to our vices.
Anyone can – for a time – glorify our existence. The prize is to land on that far more unique and cherishable being, one who knows full well the many ways in which we’re awful but, despite the issues, can also bear to remember that we are trying our best, that we seldom do it on purpose and that we are on balance overall probably worth sticking with.”