Un altro illuminante articolo della School of Life, ispirato dall’opera di uno dei più famosi filosofi pessimisti del XIX secolo, Arthur Schopenhauer. Il pessimismo, o piuttosto il realismo, non è sempre così negativo come potrebbe sembrare. Ecco un estratto dall’articolo:
“[…] Uno degli esperimenti mentali preferiti di Schopenhauer è immaginare un creatore cosmico che, a un certo punto, decide di inventare gli esseri umani; il filosofo arriva alla conclusione che questo progettista debba essere stato malevolo o incompetente. Siamo, ad esempio, progettati per avere bisogno della comprensione empatica degli altri, ma ci è stata data solo una capacità limitata di spiegarci. Abbiamo disperatamente bisogno di imparare a vedere il mondo attraverso gli occhi degli altri, eppure siamo — per natura — bloccati nel nostro punto di vista. Amiamo sentirci leggeri, calmi e rilassati, ma i nostri cervelli sono predisposti per l’agitazione, il panico e la preoccupazione. Sembriamo essere dotati di un appetito insaziabile per il sesso, il cibo, il divertimento e il lusso ma o non ne abbiamo mai a sufficienza e quindi ci sentiamo deprivati, oppure li perseguiamo così disperatamente da rovinare la nostra possibilità di una vita felice e appagata. idealizziamo le relazioni a lungo termine basate sulla vicinanza e sull’amore eppure siamo quasi comicamente incapaci di far sì che queste si realizzino nella realtà. Siamo incredibilmente bravi a incolpare noi stessi, ma molto scarsi nell’imparare dai nostri errori. Siamo dotati (come nessun altro animale) di un acuto senso del tempo che fugge — eppure non ci è stata data la capacità di accettarlo, e quindi procrastiniamo e ci agitiamo anno dopo anno. […]
Quello che il filosofo cerca di fare con questo esperimento mentale è semplicemente normalizzare gli eventi negativi. […] In altre parole, ci dice che il dolore umano non è un dettaglio sfortunato e, in ultima analisi, rimovibile: al contrario, è incorporato nella trama più profonda della nostra condizione. Potrebbe sembrare uno dei messaggi più brutti, cupi, orribili e deprimenti che qualcuno possa mai voler trasmettere in un libro, ma potrebbe anche avere l’effetto opposto. Potrebbe infatti farci comprendere che il godimento, la gentilezza, la tenerezza, la vicinanza, la dolcezza e la calma sono eccezioni rare, speciali e meravigliose: dovremmo concentrarci sull’aumentarne la frequenza piuttosto che indignarci per le cose che vanno storte, passando dall’essere scioccati dal fatto che la vita non sia ideale all’essere meravigliati e deliziati quando anche solo poche cose si rivelano — di tanto in tanto — belle e adorabili.”
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Another illuminating article from the School of Life, inspired by the work of one of the most famously pessimistic 19th-century philosophers, Arthur Schopenhauer. Pessimism, or rather realism, is not always as bad as it may seem. Here’s an excerpt from the article:
“[…] One of Schopenhauer’s favourite thought experiments is to imagine some cosmic creator setting out to invent human beings — and he concludes that the designer must have been either malevolent or incompetent. We are, for instance, designed to need the sympathetic understanding of others, but we have been provided with only a limited capacity to explain ourselves. We desperately need to learn how to see the world through the eyes of others, yet we are — by nature — locked into our own perspective. We love feeling light, calm and relaxed, but our brains are geared to agitation, panic and worry. We seem to have been instilled with idiotically strong appetites for sex, food, fun and luxury: either we won’t get enough of them and we’ll feel deprived, or we’ll pursue them so desperately that we’ll mess up our chance of a happy, contented life. We have been endowed with ideals of life-long partnerships based on closeness and love and yet we are almost comically incapable of getting these to happen in reality. We are fantastically good at blaming ourselves, yet very poor at learning from our mistakes. We are endowed (as no other animal is) with an acute sense of time slipping away — yet we haven’t been provided with an ability to accept this, and instead delay and fret year after year. […]
The point he’s making, in this thought experiment, is simply to normalise things going wrong. […] In other words he’s trying to say that human sorrow isn’t an unfortunate, and ultimately removable, detail: it’s built into the deepest fabric of our condition. It seems like one of the nastiest, most gloomy, horrible and depressing messages anyone could ever try to convey in a book. And yet, its effect may turn out to be the opposite. It means that enjoyment, kindness, tenderness, closeness, sweetness and calm are the rare, special and wonderful exceptions: we should be focused on increasing these rather than outraged at the things that go wrong. We move from being shocked that life isn’t ideal to being amazed and delighted when even a very few things turn out — every now and then — to be beautiful and lovely. “