Finalmente sono riuscita a cambiare le impostazioni del blog in modo da far apparire non solo la data ma anche l'anno e il giorno della settimana; così è molto più chiaro. Be' meglio tardi (dopo 4 anni) che mai...
Tra l'altro ieri e ieri credo di avere letteralmente consumato le ultime 200 pagine delle quasi 500 di un ennesimo libro di Jonathan Coe, la cui opera sto leggendo in ordine sparso nel corso di questi ultimi anni.
Ne ho già parlato in queste pagine e rischio quindi di ripetermi, ma questo scrittore è davvero entrato nell'olimpo dei miei preferiti, cioè degli autori per i quali vale la pena leggere.
Per rispondere ad una questione posta tanto tempo fa in
altro blog, io leggo spesso per imparare e per sorprendermi di ciò che imparo; oppure leggo perché trovo divertente seguire una storia, immedesimarmi nei personaggi, emozionarmi; e leggo anche perché talvolta mi fa capire come vivo il mondo senza doverne scrivere io stessa.
Con Coe mi capita un po' tutto. Questo romanzo in particolare inizia come una specie di biografia di persone apparentemente scollegate tra loro; mentre i fili si tessono tra di loro sempre più strettamente compare la satira socio-politica, caustica e ancora attualissima nonostante i quasi 15 anni del libro e i quasi 20 della storia (tanto che quando descrive Bush Sr mi si sovrapponevano le immagini del figlio); verso la fine la storia di trasforma in thriller; e il finale è tragico benché paradossale. La tecnica narrativa è varia, come sempre; il tono oscilla tra commedia, tragedia e parodia.
Io mi sono ritrovata ieri mattina alle 8 del mattino (mentre V, ignaro, dormiva) a piangere come un vitello per la morte di uno dei personaggi per colpa di un fallato sistema sanitario nazionale. Credo in parte di avere sfogato quello che non ero riuscita a fare alla notizia di un'altra morte di amico (Rob, il mixerista dei Fairport, 50 anni, una persona speciale); in parte ho pianto per l'ennesima presa di coscienza dello schifo e delle ingiustizie che ci circondano.
In realtà questo è solo un esempio del viaggio che leggere questo libro è stato. Se non fossi d'accordo anche con Hornby quando dice che è davvero difficile dare consigli agli altri su cosa leggere e che bisogna diffidare della parola "imperdibile", direi che questo lo è davvero imperdibile...
... forse, speriamo.
Ha ragione PPP nel suo commento; io ero in treno quando ho avuto la notizia di AngeloG, morto improvvisamente nella notte di Natale, e anche a me si è spento il sorriso. La mini-vacanza ad Alassio è stata quello che voleva essere e anche di più, ma mi venivano continuamente in mente non solo il dolore e la disperazione di chi perde un marito e un papà (e oltretutto al soli tre anni) ma anche il fatto di perderlo nella notte di Natale, quando l'unica emozione dovrebbe essere l'aspettativa della giornata che viene. A volte il destino è davvero beffardo, specie quando si accanisce su chi già aveva dato.
Il pensiero è per chi resta ma anche per chi è andato e che mi mancherà. E' vero, forse non la persona che vedevo più spesso, ma una persona che c'era; un punto di riferimento in libreria, una sferzata di ironia, un burbero affettuoso.
Non mi viene di dire che si deve godere di ogni istante o pensare che ciascun momento possa essere l'ultimo; sarebbe una disperazione continua. E' nell'ordine delle cose fare programmi, pensare al domani. Ma essere grati per quello e per chi si ha, quello sì, si può fare. Un pensiero alla fine di ogni giornata. Ci voglio provare.