Cheerful despair

Alcuni anni fa, un candidato a una maturità a cui partecipavo come membro esterno disse uno strafalcione geniale, parlando del “pessimismo comico” di Leopardi. 

Appena ho visto il titolo di uno degli ultimi articoli della School of Life, Cheerful Despair (allegra disperazione), proprio a quell’episodio ho pensato. E ho anche pensato che è una “disciplina” che più volte ho messo in pratica senza rendermene conto. Di certo io, come tutti, ho toccato i fondi più neri in tanti momenti della mia vita, ma tante volte ho saputo tornare a galla per prendere almeno un respiro sorridendo a qualcuno o a qualcosa, oppure facendomi una bella risata, talvolte anche delle mie menate. Tra quelle tante lacrime che ho versato (e che verserò), in mezzo a quella malinconia che mi abita, ci sono stati e ci saranno tanti momenti di leggerezza. Forse esserne cosciente mi può aiutare a sentire meno pesantezza quando inesorabilmente arriva. 

Ecco alcuni passi dell’articolo: 

“I nostri cervelli sono i prodotti più delicati e complessi del mondo naturale; possiamo immaginare la totalità del cosmo anche se occupiamo la porzione più piccola dello spazio; attraverso le arti e le scienze possiamo estendere infinitamente il potere dei nostri corpi; possiamo immergerci fino al fondo dell’oceano e catapultarci verso le stelle.

Eppure ogni vita è, in relazione alle sue aspirazioni sottostanti, quasi sempre un fallimento, persino una catastrofe. Non possiamo sfuggire alla nostra dose di tristezza e disastro. Non tutti saranno colpiti da ogni infausta eventualità  – ma, con oscura certezza, a tutti noi accadranno molte cose terribili. 

In relazione a questa miscela enigmatica e inestricabile del bello e del tragico, le nostre menti sono inclini a cadere vittime di due grandi tentazioni:

Il Sentimentalismo (…)

Il Nichilismo (…)

Ma per avere una vita soddisfacente bisogna imparare a evitare intelligentemente entrambi questi pericoli, sia quello del Sentimentalismo sia quello del Nichilismo. Maturità significa rinunciare a una di queste due facili opzioni: far di tutto per evitare la tristezza oppure abbandonare del tutto la speranza. Questa implica riconoscere che (…) è una debolezza assurda cercar sempre di fuggire dai fatti tristi con allegra disattenzione, ma che è altrettanto deprimentemente sciocco non permettersi mai di desiderare, di  sognare, di gustare o di credere. (…)

I più famosi poli opposti nella storia della filosofia, spesso rappresentati anche nell’arte, furono due grandi pensatori greci, Democrito ed Eraclito. Entrambi vissero fino a tarda età, e tutti e due avevano una profonda conoscenza delle persone e del mondo, ma risposero a ciò che sapevano in modi sorprendentemente diversi. Eraclito non riusciva a smettere di piangere; Democrito non riusciva a smettere di ridere.

È importante osservare che Democrito rideva non perché fosse ignaro della durezza della vita, grazie alla sua posizione privilegiata. Il suo sorriso non rifletteva una forma di sentimentalismo o di ottimismo evasivo. Non era neppure un semplice capriccio del suo carattere. Democrito rideva in modo unico e ammirevole a causa della sua visione peculiare del mondo.

Raccomandava di familiarizzarci con l’intera gamma dell’esperienza umana, inclusi i suoi fallimenti, sciocchezze, autoinganni e ingiustizie, sia casuali che non. La saggezza consiste nel sentirsi completamente a proprio agio nel caos quotidiano dell’esistenza. (…) Mantenendo costantemente presente il lato oscuro della vita, cercava di affinare la sua percezione di tutto ciò che si distingueva da esso. Non era sempre in guardia contro il negativo; aveva lo spazio interiore per cogliere i segnali più deboli di redenzione. Il positivo non era un’eco debole di speranze deluse; era un’incarnazione particolarmente deliziosa, leggermente improbabile ma degna di nota, che si discostava dalla solita e prevedibile tendenza tragica. (…)

Una volta acquisita la capacità di praticare l’Allegra Disperazione, ci si aprirà una nuova gamma di possibilità di piacere. Saremo stupiti e toccati quando, ogni tanto, qualcuno sembra capire alcune cose che vogliamo dire, sembra gradirci o ci invita a letto con loro. Sarà difficile crederci, ma saremo felici che i nostri corpi non stiano ancora frantumandosi o cedendo il passo a cellule maligne. Noteremo, con qualche stupore, che non tutti hanno piani di uccidere o ferire gli altri. Sfrutteremo al massimo le opportunità limitate ma reali che abbiamo. Saremo liberi di godere del particolare buonumore di coloro che hanno preso in considerazione ogni possibile fatalità. (…)

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A few years ago, during a high school graduation exam in which I participated as an external examiner, a candidate made a brilliant blunder while discussing Leopardi’s “comic pessimism.”

As soon as I saw the title of one of the latest articles from the School of Life, “Cheerful Despair,” I immediately thought of that episode. And I also thought that it’s a “discipline” that I’ve often practised without even realising it. Certainly, like everyone else, I’ve hit rock bottom many times in my life, but many times I’ve managed to resurface, at least long enough to take a breath, by smiling at someone or something, or by having a good laugh, even at my own nonsense. Among the many tears I’ve shed (and will shed), amidst the melancholy that inhabits me, there have been and will be many moments of lightness. Perhaps being aware of this can help me feel less heaviness when it inevitably arrives.

Here are a few excerpts from the article:

“Our brains are the most delicate and complex products of the natural world; […] we can envisage the totality of the cosmos though we occupy the tiniest portion of space; by our arts and sciences we can infinitely extend the power of our bodies; we can plunge to the ocean floor and catapult ourselves towards the stars.

And yet every life is, in relation to its underlying aspirations, almost always a failure, even a catastrophe. We cannot escape our quota of bleakness and disaster. Not every grim eventuality will strike everyone – but, with dark reliability, many terrible things will happen to us all. 

In relation to this puzzling, inextricable mixture of the beautiful and the tragic, our minds are prone to fall prey to two major unfortunate temptations:

  1. Sentimentality (…)
  2. Nihilism (…)

But a satisfied life requires us intelligently to skirt both these dangers, those of Sentimentality as much as those of Nihilism. Maturity means denying ourselves the easy options of avoiding bleakness or hope. (…) (It) is absurdly timid to flee the sad facts with cheery disregard, but equally – if more unexpectedly – that it is dispiritingly weak never to allow oneself to wish and to dream, to savour and to believe. (…)

One of philosophy’s most established oppositions, depicted in art throughout the centuries, is that between two great Greek thinkers, Democritus and Heraclitus. Both men (who lived to a very old age) had a deep knowledge of people and the world, but responded to what they knew in strikingly different ways. Heraclitus could not stop weeping; Democritus could not stop laughing. 

Crucially, Democritus laughed not because a privileged position led him to naively misunderstand how bad things could be. His good humour wasn’t a version of sentimentality or avoidant optimism. Nor was it simply a random quirk of temperament. Democritus laughed in a very particular and admirable way because of the way he thought about the world. 

He recommended that we acquaint ourselves with the totality of human experience, with all its failings, follies, self-deception and casual (and not so casual) injustices. The wise person should take care to grow completely at home with the ordinary shambles of existence. (…)  By keeping the dark backdrop of life always in mind, he sharpened his appreciation of whatever stood out against it. He did not have to be on constant high alert for the negative; he had the inner space to listen out for the faintest signals of redemption. The positive was not a feeble echo of dashed hopes; it was a particularly delightful, slightly improbable but noteworthy bucking of the usual and expected tragic trend. (…)

Once we have acquired the skill of Cheerful Despair, a new range of possibilities for pleasure open themselves up to us. We will be amazed and so touched when, once in awhile, someone seems to understand a few things we mean, appears to like us, or invites us to go to bed with them. We will find it hard to believe, but will be delighted, that our bodies are not yet splintering or ceding the way to malignant cells. We will take note, with some astonishment, that not everyone has plans to murder or hurt others. We will make the most of the constrained but real opportunities we have. We will be free to enjoy the distinctive cheerfulness of those who have taken every fateful fact on board. (…)”