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Thu 22 May 08
La solita anteprima
Mi sa che prima o poi dovrò creare la categoria "lettere" visto che ogni tanto mi parte lo sghiribizzo di scriverne una al giornale locale, con dovuta anteprima in questo spazio...
Cara Provincia,
ti scrissi più o meno la stessa lettera una dozzina di anni fa, allora addirittura "promossa" in cronaca di Como!
La situazione non è cambiata. Parlo del passaggio a livello di Como Borghi.
Ora come allora, nonostante i cambi di orario avvenuti, che raramente fanno incrociare i treni in arrivo da Milano e Como Lago, il passaggio a livello si chiude con inspiegabile anticipo (ben prima che da una parte o dall'altra ci sia un treno in vista) e si apre con snervante lentezza, creando, se va bene, innervosimento negli automobilisti e ginniche prodezze da parte dei pedoni; se va male, cioè se è un'ora di punta, creando una fila in via Petrarca che spesso si riflette anche sulla viabilità di via Dante. Sembra che gli addetti di servizio alla stazione se ne freghino, e quasi traggano godimento da ciò. Dove infatti il passaggio a livello è automatico (viale Battisti e viale Lecco) questo rimane chiuso per lo strettissimo tempo necessario.
Due esempi. Sabato dovevo prendere il treno per Milano in partenza alle 13.50. Sono arrivata in stazione alle 13.41 che il passaggio a livello si stava chiudendo; il display annunciava un ritardo di 7 minuti del treno delle 13.40 proveniente da Milano. Questo è infatti arrivato dopo qualche minuto e ripartito alle 13.47. Ma ecco l'attesa del treno per Milano, arrivato alle 13.51. Sono salita che le sbarre eranno ancora abbassate; immagino si siano alzate quando il treno era già partito. In viale Battisti si erano abbassate, rialzate, riabbassate e rialzate; a Como Borghi sono state chiuse per 10 minuti, in una giornata di mercato e quindi "calda" anche ad un'ora post-prandiale. E in effetti la mia permanenza in stazione è stata accompagnata da festosi clacson...
Ieri sera ero invece motorizzata ed in colpevole ritardo; arrivavo da via Dante e dovevo lasciare la macchina in via Carloni per recarmi alle 19 in via Grossi; erano le 18.51 e mi è stato impossibile girare a sinistra in via Petrarca. Per evitare di peggiorare l'ingorgo che già c'era mi sono fatta un giretto in via Dottesio e, fortunatamente, un paio di minuti dopo la coda era svanita.
Per completezza, aggiungo che la corsia di scorrimento creata in fondo a via Petrarca per consentire la svolta a sinistra è spesso indebitamente occupata da macchine con o senza doppia freccia, specialmente nei giorni di mercato.
Probabilmente il mio è il segno della mancanza di pazienza tipica di tutti quelli che si trovano a transitare di lì. Forse si potrebbero organizzare dei mini corsi di yoga in prossimità della stazione; peccato che l'inquinamento creato dalle troppe macchine che nemmeno si sognano di spegnere il motore probabilmente ne vanificherebbe l'effetto salutare.
20:20:32 -
Claudia -
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spunti
Thu 08 May 08
Words Words Words
Non è facile tornare a scrivere dopo oltre un mese; è un po' come quando non si vede o sente qualcuno da molto tempo e la procrastinazione è data non solo dalla mancanza di tempo ma anche dalla fatica delle scuse...
Re-inizierò con qualcosa di non troppo personale, comunque; un libro.
Ho finito di leggere ieri sera Words Words Words di David Crystal, eminente linguista e autore inglese che, nella sua lunga carriera, ha saputo fare divulgazione rigorosa su lingua e linguaggio. Ha raccontato al pubblico non accademico della storia e del funzionamento dell'inglese (The English Language) e della sua diffusione e differenziazione nel mondo (The Stories of English); ha raccolto, in un densissimo ma godibilissimo compendio, molto di quanto si sa sui linguaggi non solo verbali (The Cambridge Encyclopoedia of Language); ha spiegato ai curiosi come funziona e che senso ha la grammatica (Rediscover Grammar e Making Sense of Grammar) ma anche come piegarla per giocarci (Language Play) - e questo è tanto per nominare i libri che conosco io.
Nell'ultimo letto, Crystal celebra la ricchezza e la diversità del lessico inglese, partendo da come impariamo e immagazziniamo le parole per arrivare a come ne plasmiamo di nuove, ne cambiamo il significato, ci divertiamo con esse. In effetti rende onore non all'accademia ma a chi AMA le parole senza che ci sia un perché e si fa esaltare dalla loro storia, dalle loro parentele o dallo scoprirne di nuove o bizzarre.
"Wordsmithery - or lexycology, as linguists call it - is a fascination that demands regular and repeated treatment" (La perizia nelle parole - o lessicologia, come la chiamano i linguisti - è una fascinazione che necessita di regolari e ripetute terapie). Come a dire - forse non serve a niente ma che bello, che bello, che bello...
Un libro così è quanto di più lontano si possa immaginare da un approccio "alla Crusca" - non c'è rigidità accademica, distanza voluta dal lettore, non c'è puzza sotto il naso. Non c'è condanna di ciò che alcuni considerano scorretto o degenerato, non ci sono ricette per "parlare bene".
Il libro è come se fosse una massiccia dose di ... piacere ...
E per chi non ne ha abbastanza, tutta la parte finale contiene suggerimenti per averne sempre di più, suggerendo come calcolare il "volume" del proprio lessico passivo e dove trovare (in siti e libri) altre notizie, altre ... dosi....
Non so cosa darei per trovare una controparte italiana, ma ho l'impressione che sia un'impresa non facile.
I libri degli accademici sono per accademici, interessanti forse ma spesso noiosi se non spocchiosi (oltre che costosi e in formati molto poco friendly.... ). Esiste forse qualche libro più divulgativo, scritto però da giornalisti più esperti nell'uso che nell'analisi approfondita.
Trovo che la bellezza di libri come questo sia che la divulgazione non è banalizzazione; nella sua comprensibilità e godibilità è percepibile la profondità dello studio che sta sotto e dell'insegnamento che se ne riceve.
Non ho mai visto David Crystal dal vivo, ma me lo immagino anziano signore inglese un po' sgarrupato, altrettanto a suo agio e "in sintonia" tra gli amici al pub, in famiglia o in mezzo a un gruppo di linguisti di spicco, con l'occhio vispo e l'orecchio teso a cogliere qualcosa in più-
Per concludere su una nota scanzonata e ... scatologica... mi piacerebbe sapere quale professore universitario italiano metterebbe in evidenza come sia la parola "science" che la parola "shit" abbiano la stessa origine. La radice indeuropea *skei- (dividere, separare) infatti è alla base della prima (nel senso di "separare una cosa da un'altra" - evidente anche in parole come "skill", scisma, coscienza...) ma anche della seconda (nel senso di "separare gli scarti dal corpo"). Bellino, no?
15:47:15 -
Claudia -
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