Ricordo le lunghe discussioni con Ferretto in quinta, se venisse prima il pensiero o prima la parola.
Io resto della mia idea di allora, peraltro avvalorata anche da
Pinker, e cioè che la prima scintilla sia il pensiero. Sono troppe le intuizioni che sento di avere per le quali la lingua mi tradisce.
D'altra parte ora comprendo di più anche quanto sosteneva lui. Il pensiero si scontorna, diventa tanto più netto e più profondo quanto più incisivamente si riesce a
comunicarlo a se stessi e agli altri. E lì spesso casca l'asino - per me. Non sempre l'
ipotiposi mi è amica, così come non lo è la metafora.
So di scrivere bene, di avere molta capacità autocritica, so cercare, controllare, modificare e rimodellare. Però istintivamente le parole giuste faticano a venire. Lo si capisce quando parlo, specie se sono emozionata o nervosa. E per giuste intendo le parole che dicono tanto in poco, che consentono di usarne il meno possibile.
Lo capisco confrontandomi con ciò che leggo, non solo libri ma anche taluni blog, come quello di V, che in talune parti conosco a memoria ma che non manca mai di suscitare immagini ed emozioni.
Paradossalmente per me il bisogno di verbalizzare è fortissimo. Da quando ho questo blog mi sembra quasi di vivere ciò che mi capita in funzione di come ne scriverò, e quando, per necessità o opportunità, mi autocensuro, è come se una parte di me bussasse forte per venire fuori.
Talvolta mi par quasi di temere altri modi di comunicazione, per quanto li ritenga
vitali.
E' paura che ciò che non è detto non sia altrettanto sentito o sia passibile di troppe diverse interpretazioni; così per i gesti, gli sguardi, la musica, le immagini.
Che lotta. Accettare e migliorare me stessa e capire e accettare gli altri. Bello però. Vitale appunto.