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Tue 11 April 06
Lettera dall'Oregon
Voglio copiare qui la lettera pubblicata qui oggi sulla Provincia di Como. In questa giornata in cui mi sento come se fossi stata lasciata da qualcuno o come quando mi venne comunicata la notizia della malattia di mio padre 24 anni fa, ecco parole che condivido e che vorrei fossero graffitate sulle case di tanti comaschi, con vernice indelebile e che riappare ad ogni ripittura.
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RUMESH
Credo che nella convalle qualche cosa si sia inceppato
Ma che città è mai diventata Como? Agenti armati che vanno alla ricerca di graffitari?
Morire per il desiderio di lasciare un segno su qualche muro della città? E? veramente questo il pericolo maggiore contro cui i comaschi chiedono di mettere in campo le forze di polizia locale? Se così è, credo che ci sia qualcosa che si è inceppato nella convalle.
Non scrivo per criminalizzare chi ha sparato. Scrivo per far riflettere i comaschi su qualcosa che è cambiato nella loro città e che forse faticano a vedere o ad accettare.
Sotto la spinta del nuovo portato dalla globalizzazione, la città si sta chiudendo a riccio.
In un mondo che diventa sempre più diverso culturalmente e competitivo economicamente, la città fatica a reagire. Preferisce difendere quello che ha, senza comprendere che piano piano anche quel poco che ha se ne andrà. Inesorabilmente. Cosa fare?
La risposta sta scritta sulla lapide che i comaschi hanno fisso sulla facciata della torre medievale di Palazzo Cernezzi, in via Vittorio Emanuele - ma che di essa pare si siano dimenticati. E? l?incisione che riporta le parole di Strabone sulla fondazione di Como ad opera di cinquecento neo comites nel 59 a.C. Coloni greci che nulla avevano a che fare col sostrato celtico della popolazione locale. Quelli che oggi chiameremmo extracomunitari?
esattamente come la famiglia di quel ragazzo che ha avuto la testa trapassata da un colpo di pistola. Fu grazie all?apertura a genti diverse e alla cultura mercantile di queste genti che Como iniziò a prosperare nei commerci tra i Latini e le popolazioni transalpine.
Oggi la globalizzazione chiama di nuovo all?apertura. Apertura alle sfide di un mercato globale e di una società multiculturale.
Ma la città fatica ad aprirsi. Sia per ragioni demografiche, sia ecomiche. Como è una città che invecchia. La popolazione superiore a 65 anni è il doppio della popolazione tra 0 e 14 anni. Le nascite di bambini extracomunitari sono le uniche che le consentono di far fronte al declino demografico.
Dal lato economico, la crisi strutturale del comparto tessile ha inciso fortemente sulla crescita del valore aggiunto che, tra il 1995 e il 2003, facendo registrarre un modico 2,7%, ha posto la provincia di Como al 99? posto su le 103 province italiane.
Una città vecchia e preda di una crisi economica produce sentimenti di chiusura, insicurezza e sfiducia che si riflettono nelle politiche di governo territoriale. Così la città preferisce dire di no ai nuovi extra-comunitari
che chiedono uno spazio dove poter pregare il loro Dio, anziché affrontare questa sfida sulla base di un progetto volto ad integrare e valorizzare, e non escludere e marginalizzare la diversità. E così preferisce pure curarsi del nitore degli intonachi dei propri edifici, allestendo forze di polizia locali anti-graffittari, senza dubitare che le minacce alla sicurezza della città si nascondano altrove.
C?è qualcosa di perverso e assurdo in questa logica che spinge alla chiusura e alla difesa ad oltranza della ?nostra? identità e della ?nostra roba?. In un mondo globale, non è certo una politica di difesa che può portare a nuova crescita. Occorre che la città si fermi e rifletta su se stessa, sui propri obiettivi, sui propri progetti. La sensazione invece è che preferisca curarsi del proprio intonaco, evitando di affrontare i problemi sociali ed economici che quell?intonaco nasconde.
Forse una passeggiata in via Vittorio Emanuele, sotto la Torre di Palazzo Cernezzi, può essere di consiglio per una città che ha di nuovo bisogno di aprirsi al confronto, alle sfide e al coraggio di rischiare.
Marco Antonsich
Boulder - Colorado
19:20:39 -
Claudia -
categoria:
spunti
Bah
Siamo un paese di merda che nella sua classe politica incapace riflette quello che è. Non c'è speranza, i miei amici e i loro figli non potranno cambiare questo stato di cose, continueranno a prevalere le piccolezze, i particolarismi, i personalismi, i tanto a me chemmefrega, salvo poi lamentarsi quando si viene toccati.
Non c'è visione d'insieme da parte di nessuno, non c'è capacità di prevedere le conseguenze di quanto si decide di fare, non c'è strategia e anche la tattica somiglia più a un andare a tentoni.
Eppure talvolta pare che non sia così. Alle manifestazioni sembra diverso. Ma per forza, perché gli altri - la maggioranza - sono chiusi nelle loro case e nelle loro idee, magari guardano, disdegnano, deridono, i loro confini sono segnati dalla loro porta d'ingresso.
Sto quasi peggio di 5 anni fa, anche se, per un pugno di voti, forse e diciamo ancora forse, il centro-sinistra ha prevalso. Sto peggio perché questo risultato così ambiguo, così italiano, non fa che rafforzarmi nelle mie idee, nelle idee di quando a 15 anni raccontavo ai miei amici inglesi perché mi vergognavo di essere italiana, e me ne vergognavo.
08:49:55 -
Claudia -
categoria:
riflessioni
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